Definizione di educazione
Qualcuno ha detto che il futuro è un drammatico confronto tra l'educazione e il caos. Io non amo le citazioni, che spesso coprono una falsa cultura, ma vorrei far presente che una civiltà si misura in qualità e durata. La vita ha ricevuto il comandamento di continuare e la civiltà, che della vita è espressione, può essere valutata dall'attenzione dedicata nel preparare i propri cuccioli al futuro.

Educazione... parola travisata, sapientemente mistificata dall'etimologia. Di solito i liceali citano il latino condurre fuori e ai classici è dato di alternare il greco nutrire (che è poi mettere dentro). Così il latino-latinorum riesce a sfoggiare saggezza. E queste due etimologie suonano un po' come gli opportunistici proverbi popolari: "chi fa da sé fa per tre" oppure: "l'unione fa la forza".
Noi (la presuntuosa casta dei judoisti) definiamo educazione come: insegnare ad affrontare la realtà, attribuendole un'etimologia sanscrita dal radicale edh: "crescere, accrescersi, aumentare; prosperare, riuscire". La semplicistica storia dell'e-ducere non ci convince, con questo dux (ancora una volta dal sanscrito duh) che conduce fuori... da cosa? Dall'infanzia? Vorremmo chiedere un supplemento di indagine per rintracciare un derivato indo-europeo di edh-duh, "condurre a crescere"?
Ma chi siamo, per argomentare?

Certamente se vogliamo progettare l'azione pratica di educare, gli educatori dovranno metterci d'accordo. Bisognerà formulare alcune definizioni, e discuterle, fino a condividerne una. Quello che intendiamo per educazione deve riscuotere una larga approvazione, e su questo fondamento comune poi ci sarà modo di erigere civettuole personalizzazioni.
C'è una certa urgenza, abbiamo poco tempo. Ora che la donna lavora la famiglia, che costituiva la principale agenzia di educazione, è poco presente. Maestri e professori tendono sempre di più a dichiararsi lavoratori-insegnanti. Il servizio militare viene abolito. E la professionalità di educatore viene sempre più di frequente attribuita agli operatori della disabilità, del disagio giovanile, del recupero tossici. Tra non molto la realtà mostrata ai bambini sarà televisiva e la preparazione dei nostri figli alla vita sarà informatica.
Avremo perso un'occasione, che collettivamente costituisce un dovere e individualmente ci nobilita perché, tra tutti i mestieri possibili, gli effetti di una buona educazione possono manifestarsi anche a distanza di secoli.

Le radici dell'educazione
I mammiferi (il gatto, il cane, il topo...), insegnano ai loro piccoli a vivere. A procurarsi il cibo, a coltivare una corretta attenzione, ad agire nel pericolo; trasmettono il loro sentimento nei confronti dell'ambiente (cosa che fa la differenza tra domestici e selvatici). In qualche maniera inducono anche nozioni di igiene e medicina.
Gli esseri umani fanno altrettanto, ma con una visione più ampia.
Questa visione ce la siamo conquistata (e talvolta costruita) attraverso decine di millenni.
Ai nostri cuccioli servono doti positive: intelligenza, coraggio, prudenza, attenzione, determinazione, perseveranza, solidarietà, rispetto per l'ambiente... bellezza interiore e profondità di sentimento... intuizione e fiducia in se stessi... Dobbiamo trasmettere loro tutta questa esperienza, in sintesi naturalmente. Oltre alla capacità di inserirsi costruttivamente nella realtà sociale e nel processo produttivo.

L'umanità è evoluta, si è potenziata, ha una storia. Siamo diventati diversi, e oggi non celebriamo più i sacrifici umani del tempo della Bibbia. Possiamo trasmettere la sintesi dell'esperienza che abbiamo fatto (la rinunzia ai sacrifici) ai bambini, ai ragazzi e ai giovani perché, nella successione delle generazioni, è una cosa che abbiamo vissuto, sperimentato sulla nostra pelle; prima nell'evoluzione e poi nella storia.
Abbiamo vissuto, come umanità, in corpo mente e cuore (il nostro cuore è quello che altri chiamano spirito o anima).
Mentre possiamo capire (con la mente) materie come storia della filosofia, automi cellulari, o matematica... dobbiamo comprendere, in corpo mente e cuore il coraggio, la resistenza, la perseveranza. Possiamo esibire le nostre nozioni e applicarle; ma se serve uno sforzo, se attacca il nemico, se perseguiamo un ideale, o ci accingiamo a un'impresa, ci tornano utili quelle doti e l'armoniosa coordinazione di tutto l'essere.
Proprio come gli esempi che emergono dal passato storico, le grandi personalità. Oltre che dei progressi ottenuti nella tecnica, nella scienza e anche nelle discipline umanistiche, dovremmo poterci ritenere soddisfatti di risultati altrettanto grandi realizzati nella formazione dell'essere umano.

Insegnamento ed educazione
Allora: c'è l'insegnamento, doverosamente impartito ai giovani perché si inseriscano nel processo produttivo che ci sta a cuore. Spieghiamo loro l'ultima versione del codice della strada, le formule scientifiche, il come-fare, come gestire, come amministrare. Questo insegnamento si avvale di professori che parlano alla mente da dietro una cattedra e fanno capire.
Poi c'è l'educazione che si rivolge all'essere e propone l'intelligenza per risolvere le situazioni, il coraggio e la prudenza per affrontarle, la generosità di dare se stessi, l'attenzione sull'altro, l'equilibrio nel distribuire le forze, l'attenzione per valutare le conseguenze dell'azione... Soprattutto insegna una morale: che il miglior impiego dell'energia richiede di essere tutti insieme a crescere e progredire.
Questo può avvenire attraverso un'attività che comincia dal corpo, coinvolge la mente e interessa il cuore. In questo caso parliamo di comprendere: l'essere, che è l'oggetto dell'educazione, affronta con metodo l'universo che lo circonda e prende con sè l'esperienza dell'esperto che guida l'avventura.
Un professore di materie intellettuali può far capire alla mente i suoi argomenti; ma un insegnante di educazione fisica, o un istruttore sportivo, possono armonizzare mente corpo e cuore in quelle doti che l'esperienza ci raccomanda per affrontare la realtà.

Questo risultato lo possono ottenere i professori di educazione fisica e gli istruttori sportivi preparati e motivati, che gestiscono attività motorie senza concedere al tifo, al campionismo, all'aggressività; ma comunicando l'esperienza di dare se stessi (oggi a un'attività giovanile; domani al lavoro, alla ricerca, alla famiglia, o a un obiettivo liberamente scelto) nello spirito che oggi ci confrontiamo per crescere, ma domani saremo insieme a costruire un mondo migliore.
Cimentarsi in gara prepara ad affrontare le prove della vita. Fa vivere un'emozione e propone qualità ideali; rappresenta un allenamento a circostanze più complesse e decisive. Non per imitare i Maradona, i Tyson, i Pantani, ma per essere un giorno come Sabin, quello che ha donato all'umanità il vaccino anti-polio; o un Muhammed Yunus, ideatore della Banca Etica in Bangladesh.
Dare tutto se stessi a un avvenimento di gara è solo una fase educativa appropriata alla condizione giovanile, dato che forse la vita ci proporrà di dare di più.

L'attività motoria ha per fine: essere sani per essere utili. Deve contribuire a creare uomini e donne che valorizzino il corpo, coltivino la mente e liberino lo spirito verso un ideale che è al servizio dell'umanità.
Il teatro dell'educazione è l'universo che ci circonda, in cui agiscono l'educatore e l'educando. In questa visione se il bimbo impara a correre chi lo sorveglia lascia che si sbucci le ginocchia, ma interviene se si avvicina a un precipizio; così un conto è andare in montagna e un altro cercare imprese estreme; la danza celebra la bellezza, ma il desiderio di primeggiare sfida l'anoressia-da-specchio. Lo sport non dovrebbe essere fine a se stesso, ma comunicare la generosità del dare.

Lo sport
Lo sport dovrebbe sostituire quello che è stata l'avventura (educativa) nella natura; dovrebbe recuperare i benefici che sono stati sacrificati alla vita tecnologica e sedentaria; dovrebbe conferire le qualità nobili del passato, minimizzando i rischi e formando la personalità.
Ancora una volta lasciamo perdere l'etimologia che fa derivare sport dall'italiano diporto, suggerendo l'attività motoria come un rimedio allo stress mentre, almeno per i giovani, deve rappresentare essere sani per essere utili.
A questo punto chiediamoci se il nostro sport va riformato, cominciando proprio dalla definizione. Quando mi è capitato di criticare il comportamento di una semi-finalista olimpica (che esultava per la vittoria dopo aver rotto la gamba all'avversaria), un giornalista mi ha rimproverato: "Tu non sai cosa vuol dire per una ragazza di vent'anni vincere una medaglia!". E' verità. Con tutto quello che la donna ha dovuto sopportare nel corso dei millenni, ci mancherebbe altro che io non comprendessi questa liberazione dai freni inibitori nel momento di successo.
E lo sport fa sfogare tanti repressi: quelli dell'hockey che si colpivano a bastonate, la pattinatrice che ha fatto sparare alle gambe della concorrente, i tifosi accoltellatori e peggio, gli adolescenti-ritardati che si dopano perché non li comprendiamo... Ma la mia critica non era rivolta a quella specifica persona malata di vincere ad ogni costo, invece che ad essere sana per essere utile agli altri; era rivolta alla nostra concezione dello sport, che potrebbe essere visto in chiave formativa e non campionistica, ai nostri Dirigenti, ai nostri allenatori, ai nostri tifosi e spettatori.
Lo sport deve riguardare l'alba della vita, non esserne il tramonto per cui molti sportivi vanno in pensione quando cessano l'attività. Quella ragazza non ha colpa; ma vorrei che il sistema offrisse una migliore opportunità alla sua giovinezza e soprattutto che non apparisse ai coetanei come campione da imitare.
Una volta ho proposto a una testata sportiva, un articolo su sport-educazione. Amici giornalisti mi hanno risposto: "Non ci interessa. Tu scoraggi i Maradona, i Tyson e i Pantani, pilastri del nostro lavoro!". Tale esemplare coscienza civica porta le avventure del doping in cronaca, perché la redazione sportiva le ignora.

La proposta
Forse potremmo abolire la legge istituzionale del CONI (del 1943) per dare vita:
 a un'agenzia per lo sport professionistico i cui iscritti (maggiorenni e maturi psicologicamente) conoscono le conseguenze del doping e sono liberi di gestirsi; sulle loro prestazioni possiamo basare i giochi di scommesse se non abbiamo altre risorse per finanziare il Comitato Olimpico e lo Sport-Educazione;
 a un Comitato Olimpico Italiano che si occupi di selezionare le rappresentanze nazionali, chiedendo a chi vuole partecipare solo il passaporto, il certificato medico, e l'assicurazione;
 al movimento di Sport-Educazione gestito dalla Scuola con la collaborazione del volontariato sportivo (associazioni dilettantistiche e mamme che portano le torte al termine delle gare).

Potremmo utilizzare l'agonismo fino a un certo livello, perché vincere (e perdere) un confronto è senz'altro un avvenimento positivo per i giovani, soprattutto quando il "come si vince" viene posto prima del "vincere ad ogni costo", nello spirito che: oggi siamo a sfidarci per i colori della nostra scuola, ma domani saremo insieme a costruire un mondo migliore. Nell'occasione l'insegnante di educazione fisica o l'istruttore sportivo devono creare un clima che faccia nascere amicizia, come accade naturalmente ai ragazzi che si sfidano a raggiungere per primi la fermata del tram.
Immaginiamo una competizione, importante e celebrata dai media, che raccolga gli studenti dell'età a rischio, con fasi eliminatorie che selezionano chi ha ottenuto un risultato medio. Alle finali di questi Giochi partecipano solo una percentuale sorteggiata casualmente, che dimostrerà di aver effettivamente raggiunto il risultato.
Mentre i ragazzi si godono la trasferta con i riti della gioventù e ricevono magari un computer portatile per la partecipazione, salgono sul podio per la medaglia, l'inno il vessillo e, speriamo, le lacrime i Ministri, i consiglieri, gli assessori, insomma gli amministratori dello sport nazionale, regionale o provinciale.

Mi permetto un esempio: immaginiamo il salto in alto; la prova è riservata a ragazzi e ragazze tra 15 e 18 anni. La finale nazionale italiana conta 40 maschi che saltano 1,90 e 30 femmine che saltano 1,75. La Germania (naturalmente) rispettivamente 60 e 50; la Francia come noi; l'Olanda...
Alla finale, diciamo a Marienbad o a Merano cittadine adatte ai giovani, si svolge la finale europea a cui partecipano, sorteggiati a caso 4 maschi e 3 femmine italiane; altrettanti francesi; 6 e 5 per la Germania; l'Olanda.... Quasi tutti dimostrano di raggiungere lo standard che la loro federazione nazionale ha annunciato e, in base a questi successi e insuccessi e tenendo conto la popolazione globale di quel Paese, viene formulata una classifica che ne riflette la sportività, non l'esistenza di qualche fenomeno atleta-militare semiprofessionista e potenziato dalla scienza...
Di conseguenza viene premiato il Ministro dello Sport (o chi ha la delega per lo sport): podio, lacrime, inno e vessillo per quell'uomo o donna illuminato che ha saputo trascinare lo sport di massa nel suo Paese.
A tali competizioni sono ammesse le discipline sportive che riconosciutamente favoriscono valori come: la difesa, la socializzazione, l'assistenzialismo, l'ecologia, la protezione civile.